COLLEGNO, IL PROCESSO AD ALEX: “UCCISE IL PADRE IN UN CLIMA DI TERRORE E DI VIOLENZA”

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di REBECCA DE BORTOLI

COLLEGNO – Il 12 aprile sarebbe dovuta arrivare la sentenza nel processo di secondo grado che vede coinvolto Alex Pompa (oggi Alex Cotogna), per l’uccisione del padre il 30 aprile 2020, quando dopo l’ennesima lite domestica Alex per proteggere sua mamma e la sua famiglia uccise il padre con 34 coltellate. Alex era stato assolto in primo grado, ma ora si vede coinvolto nel processo d’appello. Per Alex, il pubblico ministero Alessandro Aghemo ha chiesto, nel marzo del 2023, una condanna di 14 anni di reclusione dichiarando: “mi rendo conto che questo sia un caso che scuote le coscienze, ma bisogna avere il coraggio di condannarlo poiché questo atto non deve restare impunito”. Nell’udienza tenutasi mercoledì 12 aprile l’avvocato difensore ha pronunciato una lunga arringa cercando di smentire passo per passo le affermazioni su cui si basa l’accusa.

Innanzitutto, per cercare di dar risposta al “perché non hanno mai chiamato i carabinieri”, l’avvocato Strata ha aperto l’arringa con una carrellata di nomi. Nomi di 55 stragi familiari in cui, per la maggior parte, nessuna donna aveva mai né denunciato, né raccontato a nessuno quello che gli accadeva tra le mura domestiche. Questo per farci capire quanto, tra il pensare di voler agire e l’azione, spesso ci sia una distanza troppo grande, infatti “nel 15% dei casi, ci dice l’avvocato, solo 1 donna su sette denuncia”. In seguito l’avvocato ha proseguito nel dimostrare come, secondo la difesa, le accuse del pubblico ministero fossero infondate e come nella casa di Collegno in via De Amicis il clima era sempre di terrore, causa di un padre violento e ossessivo. Addirittura il fratello della vittima, che ad oggi ha chiesto a Maria e ai suoi nipoti un risarcimento economico per la morte di Giuseppe, e la madre hanno ammesso di essere spesso stai intimoriti dalle sue reazioni di “furia”.

L’avvocato di Alex ha cercato di fornire un quadro che ripercorre gli anni che hanno portato la famiglia alla notte del 30 aprile 2020: nel 2015 i vicini quasi chiamavano la polizia sentendo una preoccupante sfuriata di Giuseppe, il padre di Alex, causata dalla richiesta del ragazzo tredicenne di dormire da un amico. Il 5 dicembre del 2016 Maria registrò sul suo telefono un video messaggio: “se ci trovano tutti morti, me e i ragazzi, è stato lui”.

Nel 2017 era nata una chat segreta con Maria e i suoi figli che il padre non avrebbe mai dovuto scoprire. Questa chat era nata poiché sul gruppo comune Maria era costretta a rispondere con cuori e a cancellare i messaggi violenti, era obbligata a scrivere a ogni pausa pranzo al marito in modo che lui la potesse chiamare per controllarla. Nella chat segreta vi si trovano messaggi come: “non stare da sola con lui, non farti mettere le mani addosso, tienilo buono che domani siete soli”. Infatti i due ragazzi si organizzavano in modo da non lasciare mai la madre sola in balia del padre violento.

Alex scrisse alla sua fidanzata: “Non possiamo lasciare da sola nostra madre, domani al 99% non vengo a scuola ora mi organizzo con Loris, nel caso dite che ho una visita”. E ancora ad un amico: “stasera non so se esco, mi devo organizzare con Loris, o vengo io o lui”.

A detta della difesa, secondo il pubblico ministero tra il 2016 e il 2020 non ci sarebbero stati altri fatti allarmanti che potessero giustificare l’atto di Alex, anche se tra i testimoni viene ricordata una collega di Maria che le disse preoccupata: “non ti voglio vedere morta sui giornali”.

Per far capire nel migliore dei modi la situazione l’Avvocato Strata si è servito di innumerevoli prove audio, tutte molto simili tra loro: “stronza, devi morire, sei una merda, ma come ti comporti, ti ammazzo, ti spezzo le ali, non sei degna di me, ti disintegro, ti faccio pagare tutto, io la testa te la spacco, mi manderai in galera” queste sono le parole più ricorrenti che si sono sentite nelle registrazioni oggi nell’aula sei del tribunale di Torino, che sono solo un assaggio di quello che realmente succedeva in casa.

In seguito l’avvocato ha cercato di ricostruire i fatti di quella sera partendo dalle testimonianze dei vicini della famiglia e le prove forensi raccolte, “nonostante molte fossero state erroneamente raccolte e molti dettagli trascurati”, come ci tiene ad evidenziare Strata.

Alex chiamò i carabinieri alle ore 22.45 di quel 30 aprile piangendo e ripetendo che non sarebbe dovuto succedere. “all’arrivo del 118 Alex era sotto shock, in preda alle convulsioni, non stava fingendo, vi sono dei referti farmacologici che testimoniano le convulsioni”.

Nonostante l’accusa abbia cercato di sostenere che quella sera era “una come tante altre”, a detta dell’avvocato difensore sia i vicini del piano di sotto che una vicina in una casa adiacente si sono allarmati per il frastuono che proveniva dalla casa, addirittura avevano pensato di chiamare i carabinieri. Inoltre alle ore 21.37 viene scritto da uno dei fratelli ad un’amica: “scusa non posso c’è casino a casa”. Avevano anche provato a contattare lo zio, fratello della vittima, cercando di lanciare un segnale di richiesta di aiuto che, però, non è stata colta.

Il Pm secondo la difesa ha sostenuto: “se potevano mandare messaggi vuol dire che la situazione era tranquilla. Ma a quanto sembra, la situazione è peggiorata dalle ore cinque del mattino di quel 30 aprile a causa della scoperta da parte di Giuseppe di un presunto tradimento della moglie.

In seguito la difesa ha cercato di porre l’attenzione dei giurati sulla collaborazione spontanea e immediata di Alex e della sua famiglia, segno che non avessero nulla da nascondere, narrando non versioni che avrebbero potuto agevolarli, ma versioni che coincidevano poi con le ricostruzioni forensi avute grazie al medico legale. Soprattutto sembrerebbe infondata l’ipotesi secondo cui Alex avrebbe attaccato il padre alle spalle, anzi il ragazzo dichiarò: “L’ho visto andare verso la cucina per armarsi, non so dove fossero mamma e Loris, so solo che ho agito per proteggerli. Anche se non riesco a ricollegare lucidamente i fatti voglio collaborare”.

L’avvocato Strata si è appellato alla legittima difesa di un ragazzo vissuto nella paura e nella violenza, traumatizzato e con una semi infermità causata da una vita di traumi. La sentenza è stata rimandata e il 4 maggio si sentirà il pubblico ministero che ribatterà all’arringa della difesa.

 

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